Italiani: curiosi al ristorante, tradizionali in casa
Osservatori - lunedì 25 Maggio, 2015
Il cibo è un elemento fondamentale della carta d’identità d’un paese. Ne rappresenta la cultura, le tradizioni, l’inventiva, il rapporto col territorio. Non costituisce solo l’elemento di sussistenza di una popolazione, è anche un momento di relazioni e di rappresentazioni sociali. A tavola s’intessono accordi, si festeggia, si celebrano riti. Il cibo è un momento d’incontro e di scambio. Non a caso, si evita di mangiare con chi si è in conflitto. Dunque, il cibo come identità e incontro. Come riconoscimento e valorizzazione delle proprie radici e, nello stesso tempo, metafora del dialogo fra culture diverse.
Anche in questo senso EXPO Milano 2015 costituisce una straordinaria allegoria delle possibilità di incrociare culture, realtà e territori molto diversi e distanti fra loro. A ben vedere la conoscenza di altre tradizioni attraverso il cibo è un’esperienza integrante della nostra storia. Grazie ai conquistatori, agli esploratori e allo sviluppo degli scambi commerciali, gli alimenti (più ancora delle pietanze) si sono poco alla volta diffusi e contaminati nei diversi continenti.
Ma è a partire dal secolo scorso, con l’intensificarsi dei flussi migratori, che lo scambio delle tradizioni culinarie si sono sparse quasi a livello planetario. Poi c’ha pensato lo sviluppo commerciale e i processi di globalizzazione a imprimere un’accelerazione ulteriore. Senza voler poi considerare la grande quantità di trasmissioni televisive dedicate alla cucina, i cui riverberi si ritrovano anche sulla crescente quota di giovani che s’iscrivono agli istituti alberghieri attratti dalla possibilità di diventare cuochi di fama. Così, ormai nelle nostre città, anche quelle più piccole, non manca l’occasione di poter mangiare cibi provenienti da altri continenti: dal sushi al kebab, dall’involtino primavera al churrasco. Ed è sufficiente frequentare i locali etnici per comprendere la curiosità dello sperimentare piatti di altri territori. Insomma, il cibo è forse una delle dimensioni più glocale (globale e locale assieme) che possiamo sperimentare, è un crocevia delle nostre identità.
Ma nella quotidianità, sulle tavole di casa, come si comportano gli italiani? La ricerca di Community Media Research ha sondato i comportamenti dei connazionali quando vanno a fare la spesa. Emerge un comportamento duplice. Da un lato, rilevando le preferenze culinarie si evidenzia un ampio ventaglio nelle predilezioni. La cucina Mediterranea (22,2%) condivide il primato con quella Sudamericana e caraibica (20,1%). A queste seguono, più distaccate, quella Asiatica (13,2%) e quella Africana (12,2%). Ma non mancano poi quella Indo-thailandese (9,9%), l’Araba-mediorientale (6,0%) e la Nordeuropea-scandinava (6,0%) e diverse altre ancora.
Dunque, sotto questo profilo, gli italiani manifestano una curiosità e un desiderio di sperimentare tradizioni culinarie diverse. Se questo (as)saggiare altre culture alimentari è alquanto diffuso, dall’altro lato, però, sembra essere preferito soprattutto al di fuori delle proprie mura di casa. Infatti, quando si va a fare la spesa per la propria tavola, prevale nettamente un comportamento – se così si può dire – “patriottico”. Molto spesso si scelgono prodotti alimentari che siano tipici di un territorio o di una regione italiana (55,7%), quelli a Km 0 (33,6%) e con un marchio di qualità (DOP, IGP,…: 30,5%). Che un cibo sia biologico (18,9%) o solo vegetale (3,1%) interessa ancora una quota relativa. Dunque, sulla nostra tavola i cibi provenienti da altri contesti occupano uno spazio assai contenuto (4,2%).
Inoltre, è interessante osservare che anche la dimensione economica occupa un peso significativo sotto un duplice aspetto. C’è la dimensione equo-solidale ovvero l’attenzione che i prodotti siano rispettosi del trattamento economico dei produttori e dei lavoratori, sottolineata dal 28,9% degli interpellati. Si tratta di una dimensione che mette in luce – almeno dal punto di vista della sensibilità – un’attenzione dei consumatori per i temi etici anche nel cibo. Poi c’è quella dell’attenzione al contenimento dei costi, cioè l’economicità di un prodotto (25,0%). Su quest’ultimo aspetto, infine, si è cercato di cogliere quale fosse la propensione degli italiani nei confronti dell’acquisito alimentare e se si privilegiasse maggiormente il costo di un prodotto o la sua qualità. Le risposte tendono a dividersi evidenziando tre profili dei consumatori. Il gruppo prevalente è dei “risparmiosi” (40,3%) ovvero quanti sono prevalentemente attenti al prezzo quando fanno un acquisto. Le condizioni economiche e l’esperienza segnano più di altri gli orientamenti di questo gruppo caratterizzato soprattutto dalla componente femminile, dalle giovani generazioni e da quanti risiedono nel Centro-Sud. Seguono gli “equilibristi” (31,7%): si tratta di chi ricerca un buon equilibrio nel rapporto qualità/prezzo e si annidano in particolare nella componente maschile, i cinquantenni, le casalinghe e chi ha un titolo di studio elevato. Infine, abbiamo i “qualitativi” (28,0%) che negli acquisiti mettono l’accento soprattutto sulla dimensione qualitativa dei prodotti alimentari. In questo gruppo ritroviamo maggiormente i quarantenni, gli imprenditori e i dirigenti, chi risiede nel Nord e ha un elevato titolo di studio. Gli italiani e il cibo, quindi, mostrano sfaccettature diverse e fra loro complementari. Attenti a risparmiare, ma anche a cercare un giusto equilibrio fra qualità e prezzo. Curiosi e aperti a sperimentare esperienze di altre culture culinarie e identitari sulla tavola di casa. Il cibo è, a tutti gli effetti, un emblema dell’esperienza contemporanea: il glocale.
Daniele Marini
Nota metodologica
Community Media Research, in collaborazione con Intesa Sanpaolo per La Stampa, realizza l’Indagine LaST (Laboratorio sulla Società e il Territorio) che si è svolta a livello nazionale dal 20 febbraio al 27 marzo 2015 su un campione rappresentativo della popolazione residente in Italia, con età superiore ai 18 anni. Gli aspetti metodologici e la rilevazione sono stati curati dalla società specializzata Questlab. I rispondenti totali sono stati 1.493 e, per una maggior rispondenza all’universo della popolazione, l’analisi dei dati è stata riproporzionata sulla base del genere, del territorio, delle classi d’età, della condizione professionale e del titolo di studio. Il margine di errore è pari a +/-2,6%. I partecipanti all’indagine sono stati invitati a rispondere a un questionario via web attraverso i principali social network e grazie all’attivazione di un campione casuale di nominativi raggiungibili via e-mail (CAWI) e telefonicamente (CATI). Daniele Marini ha progettato e diretto la ricerca. I risultati sono visitabili presso www.indaginelast.it.