Italiani e lavoro: realizzazione personale, autonomia e percorso di crescita
Osservatori - lunedì 30 Aprile, 2018
Il lavoro con la persona al centro. È così che larga parte della popolazione lo vorrebbe. Dove la dimensione soggettiva prevale su quella collettiva. O, come si sarebbe detto un tempo, di “classe”. A ben vedere, si tratta di un rovesciamento di prospettiva o, forse, di arricchimento: perché l’una (soggetto) potrebbe coesistere con l’altra (collettivo). La ricorrenza del 1° maggio, dedicata a commemorare le lotte per le conquiste dei diritti dei lavoratori, dovrebbe essere un’occasione di riflessione per comprendere i cambiamenti profondi sottesi in una delle dimensioni più importanti nella vita delle persone. Il lavoro è oggi un crocevia di trasformazioni e, nello stesso tempo, di contraddizioni. I cambiamenti hanno toccato il modo di lavorare, le organizzazioni delle imprese, i profili professionali. Tutto ciò s’è riflesso sulla struttura sociale dei lavoratori. Alle tradizionali classi omogenee (operai, impiegati) si è sostituita un’articolazione di gruppi professionali innumerevole da elencare, frammentata al suo interno e di difficile rappresentazione. Ma le metamorfosi del lavoro non terminano qui, anzi.
La Quarta rivoluzione industriale sta iniziando a dispiegare i propri effetti, e non solo all’interno del sistema produttivo. I processi di digitalizzazione applicati agli ambienti lavorativi, l’interazione uomo-macchina (che apprende) intervengono sulle mansioni e sulle competenze necessarie in modo radicale. Si sta aprendo un nuovo orizzonte per il lavoro o, meglio, per i lavori. L’insieme di questi aspetti rende il suo futuro un ambito di sperimentazione interessante, ma nello stesso tempo rischioso. Perché pone il problema di una possibile polarizzazione fra inclusione ed esclusione dalla opportunità di avere una cittadinanza attraverso il lavoro. Ed è qui che nascono le contraddizioni. Diversi giovani entrano sul mercato del lavoro con continue interruzioni e riprese, occupazioni sottopagate che impediscono loro di realizzare progettualità di vita. Altri ancora decidono di cercare maggiori fortune all’estero. Le opportunità per loro sembrano ridursi rispetto alle generazioni precedenti, e ciò genera un’ansia sociale diffusa.
La questione è che la spinta nel rendere opportunamente il mercato del lavoro più flessibile, non ha conosciuto un analogo impegno riformatore sul versante delle politiche attive sul lavoro, che avrebbero funzionato da bilanciamento. E tutti i problemi derivanti dal mancato incontro fra domanda e offerta, piuttosto che di un’eventuale disoccupazione, ricadono esclusivamente sulle famiglie e sui singoli. All’interno di un contesto così ricco di opportunità e di rischi, tuttavia, gli orientamenti verso il lavoro sono marcati da una dimensione prevalente: la soggettività, l’attenzione alla centralità della persona. È questo l’esito principale dell’ultima rilevazione di Community Media Research e segnala una profonda trasformazione culturale.
Il significato attribuito al lavoro dalla maggioranza degli italiani ruota attorno a tre aspetti: realizzazione personale (80,7%), autonomia (79,0%) e percorso di crescita (78,8%). Sono tutti elementi espressivi che rinviano a un’idea di lavoro fatto di gratificazione (non solo economica, importante ma non esclusiva), dove le persone possano trovare una compiutezza alle proprie aspirazioni. Del poter sperimentare responsabilità e autodeterminazione. Nella prospettiva che il lavoro deve essere sempre più legato a un percorso di crescita professionale, in grado di offrire una occupabilità futura alle persone. Si tratta di fattori diffusi, come dimostrano i punteggi, ma che vedono le donne, i giovani, chi svolge un lavoro autonomo e chi risiede nel Nord Est del paese coloro che più di altri li sottolineano. All’opposto, un’immagine del lavoro come rigidità (17,1%), subordinazione (16,5%) o peso (14,5%) coinvolge una quota largamente minoritaria, e in particolare fra chi fa un lavoro manuale. Il riverbero di una prospettiva autorealizzativa sul lavoro è riscontrabile anche sotto un altro profilo. Ipotizzando di poter scegliere, il 58,4% preferirebbe avere una vita lavorativa con prospettive di crescita professionale e di stipendio, anche se il posto di lavoro fosse meno sicuro, piuttosto che averne uno tutelato, ma senza prospettive di progressi lavorativi (41,6%). Se le condizioni lo consentono, si privilegia un’occupazione che offra una opportunità di sviluppo delle proprie competenze, soprattutto fra le giovani generazioni e chi ha un titolo di studio elevato. Questi elementi aiutano a comprendere gli atteggiamenti selettivi dei giovani di fronte ad alcune opportunità di lavoro, presentate come occasione di occupazione, ma ritenute prive di prospettive. In questo senso, il lavoro è divenuto una scelta, meno una necessità. Ma a un’aspettativa di potersi realizzare sul lavoro largamente condivisa, fa da controcanto una realtà problematica. Sono proprio le giovani generazioni (22,1%), le donne (23,0%) e gli adulti oltre i 50 anni (25,1%) a essere le categorie ritenute maggiormente penalizzate sul mercato. Difficoltà all’ingresso, disparità di trattamenti economici ed espulsioni di lavoratori anziani sono i fenomeni che generano preoccupazione diffusa. Sono esperienze avvertite e talvolta direttamente sperimentate che alimentano un malessere sociale esteso.
Trasformazioni e contraddizioni si rincorrono e si mescolano nel lavoro, ma trovano nella centralità assegnata alla persona un denominatore comune che ha spostato il baricentro dalla dimensione collettiva a quella soggettiva, minando le tradizionali fondamenta solidaristiche. Nell’occasione del 1° maggio (commemorazione non a tutti nota: il 78,7% sa che è la festa dei lavoratori, ma il restante 21,3% l’attribuisce ad altre categorie) servirebbe uno sforzo di riflessione in grado di trovare nuovi equilibri, nuovi diritti e doveri lungo l’asse inclusione/esclusione: magari ipotizzando forme di “soggettività solidali”.
Daniele Marini
Nota metodologica
Community Media Research, in collaborazione con Intesa Sanpaolo per La Stampa, realizza l’Indagine LaST (Laboratorio sulla Società e il Territorio) che si è svolta a livello nazionale dall’11 al 15 aprile 2018 su un campione rappresentativo della popolazione residente in Italia, con età superiore ai 18 anni. Gli aspetti metodologici e la rilevazione sono stati curati dalla società Questlab. I rispondenti totali sono stati 1.657 (su 14.426 contatti). L’analisi dei dati è stata riproporzionata sulla base del genere, del territorio, delle classi d’età, della condizione professionale e del titolo di studio. Il margine di errore è pari a +/-2,4%. La rilevazione è avvenuta con una visual survey attraverso i principali social network e con un campione casuale raggiungibile con i sistemi CAWI e CATI. Documento completo su www.agcom.it e www.communitymediaresearch.it