#indagineLaST Stato, mercato, società: la competizione come sviluppo o aumento disuguaglianze?
Osservatori - lunedì 27 Febbraio, 2017
Sperimentiamo un tempo in cui gli scenari mutano con elevata rapidità. Nel giro di pochi anni siamo passati dal diffondersi della globalizzazione e dell’apertura dei mercati internazionali, al riemergere di protezionismi e al riaffermare sovranità nazionali. È la conseguenza a un processo avvenuto in modo accelerato e disomogeneo, non adeguatamente regolato. I movimenti di opinione populisti e sovranisti, tesi a un ritorno alle vecchie regole, hanno buon gioco e trovano in una parte consistente della popolazione un’accoglienza elevata. Il cambiamento quando non genera sviluppo, ma una minore distribuzione della ricchezza e di opportunità, produce resistenze. Ciò avviene in quasi tutto il Vecchio Continente (e non solo), ma nel nostro paese trova una particolare intensità: l’ascensore sociale si è sostanzialmente bloccato e le speranze di una mobilità si sono ampiamente ridotte. La lentezza, poi, con cui stiamo uscendo da un lungo periodo di recessione appesantisce ulteriormente la percezione di vivere in un paese che non offre possibilità di sviluppo e di crescita. Così, una parte dei giovani decide di spostarsi all’estero, alcune imprese dislocano i loro centri decisionali e talvolta produttivi in parti del mondo più dinamiche. Se a tutto ciò aggiungiamo che l’Italia rimane un paese ad alto tasso di corporativizzazione, dove l’intreccio di interessi è talmente vischioso da rallentare – se non bloccare – qualsiasi tentativo di riforma; dove si reclama il cambiamento, ma ciò deve riguardare prima gli altri; dove la cultura dei “diritti a prescindere“ prevale su quella della “responsabilità”, possiamo comprendere come la “sindrome dello zero-virgola” costituisca un meccanismo sociale e culturale, prima ancora che economico: temiamo il cambiamento perché potrebbe peggiorare le condizioni, anziché migliorarle.
Dunque, meglio fare micro-aggiustamenti o addirittura rimanere fermi. Certo, è fuorviante ingabbiare la totalità della popolazione in un simile perimetro. Anzi, parti consistenti sono portatrici di istanze di rinnovamento, di un diverso modo di concepire le prospettive dello sviluppo del paese. Ciò non di meno, all’interno di un’articolazione di orientamenti prevalgono posizioni che esprimono una resistenza alle innovazioni, un timore a provare a uscire dalla crisi con modalità nuove. La ricerca ha sondato la popolazione italiana su come sia meglio agire per uscire dalla perdurante situazione di difficoltà, se fare leva sulla libera iniziativa (mercato), sulle risorse della società civile (sussidiarietà) o sull’intervento pubblico (stato).
La libera competizione nei diversi ambiti della società e dell’economia è un aspetto che divide nettamente gli orientamenti. Per il 49,1% è il modo migliore per uscire dalla crisi e avviare lo sviluppo, ma per l’altra metà (50,9%) sarebbe foriera di un aumento delle disuguaglianze. La competizione sembra essere associata più alla dimensione della “perdita”, che alla possibilità di premiare il “merito”. Prevale l’idea del più forte che schiaccia il più debole, rispetto a una prospettiva dove i talenti si comparano e, nella sfida, sollecitano a un miglioramento progressivo. Potrebbe essere diversamente leggendo le cronache quotidiane degli intrecci di interesse, delle corruttele di esponenti pubblici (più o meno consapevoli) o di imprenditori e professionisti? Quando l’umore prevalente è che per accedere a posizioni di rilievo (e non solo) siano necessarie le raccomandazioni, più che i meriti effettivi? Forse non è un caso, allora, che ad associare la competizione a un aumento delle diseguaglianze siano proprio i lavoratori dipendenti, mentre chi propende per una maggiore libertà d’azione sia sostenuta da chi è collocato al di fuori del mercato del lavoro (giovanissimi e ultra 65enni, pensionati e casalinghe), dagli abitanti del Nord Est.
Tutti i dati ufficiali, però, rilevano come in Italia – diversamente dal resto d’Europa – sia aumentata la povertà e la disuguaglianza. Con quale modalità sarebbe più opportuno agire al fine di diminuire simili fenomeni? Ben due terzi fra gli italiani (65,3%) ritengono debba essere lo Stato a intervenire incrementando le politiche pubbliche. È un orientamento particolarmente sostenuto dai più giovani, dagli studenti e dai disoccupati ovvero da chi è ai margini del mercato del lavoro. Viceversa, solo un terzo (34,7%) considera positivamente una mobilitazione delle risorse della società civile, in un’ottica sussidiaria, attraverso la collaborazione fra cittadini, in particolare fra gli imprenditori e chi vive nel Nord Est del paese.
L’insieme di queste risposte aiuta a individuare quattro orientamenti degli italiani fra prevalenza del mercato, dello stato o della società nell’aiutare il paese a uscire dalla crisi. Il gruppo più cospicuo è quello degli “statalisti” (39,1%), particolarmente diffuso fra i 30enni, gli operai e chi vive nel Mezzogiorno: ritengono la competizione apportatrice di disuguaglianze e per combatterla è necessario incrementare l’intervento statale. Segue quello dei “riformisti” (26,3%) costituito da chi vede nell’aumento della competizione lo strumento migliore per uscire dalla crisi, ma contemperato dall’intervento pubblico nel calmierare le disuguaglianze. Il terzo gruppo è rappresentato dai “liberisti” (22,9%): la libera competizione e la collaborazione fra i cittadini sono le risorse principali per far ripartire il paese. Infine, i “sussidiari” (11,7%): temono la competizione per le disuguaglianze che può generare, ma ritengono la mobilitazione della società civile la risposta migliore per ridurle.
Dunque, non è maggioritario, ma l’indirizzo prevalente su come sollevare le sorti del paese e migliorare le condizioni delle persone consiste nella richiesta di una più forte presenza dell’intervento dello stato. Comprensibilmente, nell’incertezza e nelle difficoltà, è rassicurante utilizzare gli schemi del passato. Resta però una domanda. Con la crisi delle risorse pubbliche, significherebbe aumentare la tassazione: chi paga?
Daniele Marini
Nota metodologica
Community Media Research, in collaborazione con Intesa Sanpaolo per La Stampa, realizza l’Indagine LaST (Laboratorio sulla Società e il Territorio) che si è svolta a livello nazionale dal 18 ottobre al 4 novembre 2016 su un campione rappresentativo della popolazione residente in Italia, con età superiore ai 18 anni. Gli aspetti metodologici e la rilevazione sono stati curati dalla società Questlab. I rispondenti totali sono stati 1.566 (su 12.785 contatti). L’analisi dei dati è stata riproporzionata sulla base del genere, del territorio, delle classi d’età, della condizione professionale e del titolo di studio. Il margine di errore è pari a +/-2,5%. La rilevazione è avvenuta con una visual survey attraverso i principali social network e con un campione casuale raggiungibile con i sistemi CAWI e CATI. Documento completo su www.agcom.it e www.communitymediaresearch.it.