La società fluida blocca l’ascensore sociale
Osservatori - lunedì 28 Maggio, 2018
Un po’ si muove, ma così lentamente che sembra quasi fermo. È l’ascensore sociale degli italiani. Che non si tratti solo di una percezione è testimoniato dall’ultimo rapporto Istat sul paese.
Le caratteristiche ascritte, quelle derivanti dalle nostre origini, hanno un peso ancora oggi determinante nel prefigurare i percorsi biografici, scolastici e professionali. Meno di un quinto (18,5%) di chi parte dai gradini più bassi della stratificazione sociale raggiunge una laurea e una misura ancora inferiore (14,8%) arriva a svolgere una mansione qualificata. Nonostante una società fluida e altamente flessibile, malgrado le molteplici opportunità offerte dalle nuove tecnologie in termini di occupazione e inventiva. Anzi, proprio in virtù di questo nuovo contesto competitivo caratterizzato da un’epoca di cambiamenti radicali, le disuguaglianze tradizionali tornano ad assumere un peso di rilievo. Perché chi ha risorse familiari e reti di relazioni scarse, in assenza di un sistema di infrastrutture sociali stabile e strutturato, incontra maggiori vischiosità nei suoi percorsi. Detto altrimenti, se un/una giovane non ha alle spalle una famiglia dotata di risorse economiche e relazionali significative, faticherà assai a intraprendere percorsi formativi prolungati e fare investimenti in percorsi professionalizzanti (master, Erasmus, permanenze all’estero,…). Poiché disponiamo di pochi strumenti e politiche finalizzate a redistribuire le opportunità, e quelle che funzionano hanno risorse scarse, ecco che l’unico trampolino (sociale) di lancio rimane la famiglia d’origine, con il suo patrimonio materiale e immateriale. E con il contesto sociale ed economico di sfondo a costituire lo scenario all’interno del quale i soggetti si muovono e trovano un capitale sociale spendibile.
È sufficiente pensare a cosa accade se, malauguratamente, si perde il lavoro o se lo si cerca: in assenza di effettive politiche attive per il lavoro, di servizi per il ricollocamento e di sostegno al reddito, mancando un sistema nazionale di formazione continua, l’onere ricade quasi interamente sugli individui e sulle famiglie. Sulla loro capacità di destreggiarsi e di individuare nuove opportunità. Qualche dato? L’intermediazione fra domanda e offerta di lavoro è realizzata in Italia solo per il 4% (Eurostat) dai Centri per l’Impiego pubblici (CPI). Per il resto, funziona il passaparola, la ricerca autonoma mediante le conoscenze familiari. Il 6% delle persone in condizione attiva (25-64 anni) frequenta un percorso di formazione o di riqualificazione, mentre la media europea si assesta al 10,5% (Istat, Eurostat). Dunque, nella necessità del “fai-da-te”, chi dispone di strumenti gode di un vantaggio competitivo rilevante. Viceversa, la prospettiva futura appare incerta. In questo senso, quindi, l’ascensore sociale – rispetto ai decenni precedenti – appare sostanzialmente bloccato. L’ultima rilevazione di Community Media Research ha inteso verificare quale fosse la percezione della popolazione in merito alla propria attuale appartenenza alla stratificazione sociale e rispetto ad alcuni anni or sono. Il confronto, poi, con un’analoga rilevazione avvenuta nel 2016 consente a maggior ragione di verificare se siamo di fronte a fenomeni di mobilità o di immobilità sociale.
Complessivamente, più di due terzi della popolazione (70,3%) oggi si colloca in una classe sociale bassa e medio-bassa, mentre il restante 29,7% si situa nella parte più alta della stratificazione sociale. Retrocedendo nel tempo, 5 anni fa gli stessi interpellati si posizionano nel 58,4% dei casi nella parte inferiore dei ceti sociali, mentre il 41,6% in quella superiore. Dunque, nell’arco di un lustro, una parte considerevole degli italiani ritiene di aver subito una retrocessione sociale. Ciò non significa esclusivamente un abbassamento di reddito, ma può derivare dal rinunciare a opportunità o dall’erosione dei risparmi o del patrimonio per mantenere il medesimo livello di vita. Il dato medio, come sempre, cela situazioni disomogenee che nel nostro paese si traducono in un divario territoriale che ha pochi eguali in Europa. Così, se nel Nord mediamente il 64,3% dei residenti è nelle classi basse e medio-basse, analogamente avviene per il 74,4% di chi abita nel Centro-Sud (con il Mezzogiorno che raggiunge il 76,1%).
Confrontando le auto-collocazioni nei due periodi è possibile definire la mobilità sociale percepita degli italiani, ovvero come e se funziona l’ascensore sociale. L’esito ci consegna un paese in gran parte bloccato. Per quasi i tre quarti degli italiani (71,8%) l’ascensore sociale rimane bloccato sempre allo stesso piano: nel periodo esaminato (2013-18) hanno avuto solo una mobilità orizzontale. Invece, per un quinto (21,4%) l’ascensore sociale è sceso verso il basso. Tale discesa coinvolge maggiormente chi ha un basso titolo di studio (31,3%), chi appartiene a un ceto basso (51,7%) è disoccupato (32,8%) o fa un lavoro autonomo (32,8%). Soprattutto, interessa chi risiede nel Mezzogiorno (24,1%). Molto pochi (6,8%) hanno conosciuto una mobilità sociale ascendente e in modo pressoché esclusivo chi apparteneva al ceto medio-alto (30,0%). Il confronto con quanto rilevato nel 2016 permette di osservare che, in realtà, l’ascensore si è (lentamente) mosso. Nel senso che il percorso di discesa oggi coinvolge un novero di persone inferiore (21,4%) rispetto al 2016 (34,3%). Tuttavia, ciò non si è tradotto in un aumento di chi è andato in salita (6,8%, 3,6% nel 2016), piuttosto sono accresciuti quanti sono rimasti fermi allo stesso piano: 71,8%, rispetto a 62,1% nel 2016.
Se il PIL dell’Italia cresce lentamente, l’ascensore sociale non segue il medesimo andamento: il numero di persone in discesa è sì inferiore rispetto a qualche anno fa, ma vede ampliare la platea di chi resta immobile, mentre la salita è riservata a pochissimi. Ripresa economica lenta e mobilità sociale bloccata alimentano i processi di inclusione/esclusione sociale e rinfocolano le disuguaglianze sociali. Sono i veri ostacoli da rimuovere velocemente per il nuovo governo alla guida del paese.
Daniele Marini
Nota metodologica
Community Media Research, in collaborazione con Intesa Sanpaolo per La Stampa, realizza l’Indagine LaST (Laboratorio sulla Società e il Territorio) che si è svolta a livello nazionale dall’11 al 15 aprile 2018 su un campione rappresentativo della popolazione residente in Italia, con età superiore ai 18 anni. Gli aspetti metodologici e la rilevazione sono stati curati dalla società Questlab. I rispondenti totali sono stati 1.657 (su 14.426 contatti). L’analisi dei dati è stata riproporzionata sulla base del genere, del territorio, delle classi d’età, della condizione professionale e del titolo di studio. Il margine di errore è pari a +/-2,4%. La rilevazione è avvenuta con una visual survey attraverso i principali social network e con un campione casuale raggiungibile con i sistemi CAWI e CATI. Documento completo su www.agcom.it e www.communitymediaresearch.it