Le ricadute della tecnologia della comunicazione
Osservatori - lunedì 9 Febbraio, 2015
La nostra è una società altamente “permeabile”, oltre che “liquida”, per usare la nota categoria introdotta da Bauman. Permeabile perché l’uso (e talvolta l’abuso) dei nuovi strumenti di comunicazione travalica i confini delle sfere di vita, li penetra rendendoli più labili. È sufficiente osservare alcuni modi di agire quotidiani, nostri e di chi ci sta attorno, per rendersi conto di quanto sia sempre più difficile separare i momenti e gli ambiti della vita. L’uso del cellulare anche quando si è a tavola con ospiti o in famiglia. Conversare ad alta voce al telefono quando si è in luoghi pubblici, sul treno o in metro. Inviare messaggi o telefonare (magari senza vivavoce) finché si è alla guida dell’auto. L’elenco potrebbe continuare a lungo e con episodi più o meno sgradevoli che giungono alla maleducazione. Così, la sfera del lavoro si confonde con quella della vita familiare, perché possiamo essere reperibili da mail e messaggi anche nei week end o durante le ferie. L’ambito lavorativo, a sua volta, si può confondere con quello delle relazioni personali, grazie all’utilizzo diffuso dei social network.
Tutto ciò indica, una volta di più, come gli spazi della nostra vita siano permeati dalla dimensione della comunicazione e dall’utilizzo delle nuove tecnologie. E, per paradosso, nel mentre questi strumenti rompono i confini tradizionali dei nostri mondi, tendiamo a ricrearli nei micro-comportamenti. Quando telefoniamo o chattiamo in un luogo pubblico ci astraiamo, come se fossimo soli col nostro interlocutore. Caliamo in una sfera privata, e non ci rendiamo conto che altri sono vicini a noi, e ascoltano forzatamente le nostre confidenze. Quali siano le ricadute sulla vita quotidiana e sulla società dell’utilizzo delle nuove tecnologie della comunicazione è l’oggetto dell’Indagine LaST. Ed è interessante confrontare, a questo proposito, gli esiti con un’analoga ricerca svolta negli USA, dove quegli strumenti sono adoperati da più tempo. A prima vista non si riscontrano differenze assai significative. In Italia come negli USA, i primi tre aspetti messi in evidenza sottolineano dimensioni negative. Si ritiene che l’uso di smartphone, social, internet e così via distraggano eccessivamente (68%, 69% negli USA), generino una società pigra (64%, 76% negli USA) e logorino la comunicazione fra le persone (62%, 68% negli USA). Dunque, sono usati molto, ma prevalgono sentimenti negativi. Tuttavia, emergono anche alcuni aspetti che tracciano una diversità fra i due mondi e raccontano di condizioni molto diverse. La percezione che le nuove tecnologie della comunicazione abbiano migliorato la qualità della vita delle persone è diffusa solo fra una leggera maggioranza degli italiani (57%), mentre ciò accade fra il 71% degli statunitensi. Che queste alimentino la creatività delle persone ottiene un consenso fra il 44% degli italiani, ma è al 65% negli USA. Se la vita sociale è accresciuta solo per il 21% in Italia, negli USA è al 52%. Insomma, è come se – nel nostro paese – non si percepisse l’impatto di sistema che le nuove tecnologie hanno sulla società e sul suo funzionamento. E d’altro canto non potrebbe essere diversamente se consideriamo che in Italia l’idea di smart city è ancora un titolo più che una pratica o che le semplificazioni generate dall’utilizzo delle piattaforme tecnologiche (pensiamo alle pratiche burocratiche) hanno una diffusione limitata.
I temi posti all’attenzione degli interpellati mettevano in evidenza sia aspetti positivi che negativi circa le ricadute sull’uso delle tecnologie della comunicazione. Per provare a fornire una misura di sintesi, sommando i diversi segni delle opzioni proposte, abbiamo ottenuto due profili che delineano gli atteggiamenti nei confronti di tali strumenti. I rispondenti si dividono, ma prevalgono chiaramente i “catastrofisti” (56,2%) rispetto ai “miglioristi” (43,8%). I primi sono coloro che mettono in evidenza quasi esclusivamente le ricadute negative dell’utilizzo delle nuove tecnologie della comunicazione. Si tratta di un orientamento presente soprattutto fra gli studenti, i residenti nel Centro-Sud e i diplomati. In particolare, è inversamente proporzionale all’età: se è molto diffuso presso le generazioni più giovani, via via che si sale con l’età esso tende a stemperarsi. Paradossalmente, proprio coloro che sono nati nell’epoca digitale e sono socializzati a questo mondo, sono anche i più critici e quelli che ne avvertono le ricadute peggiori. All’opposto, i “miglioristi” sono quanti intravedono in larga prevalenza conseguenze positive. I pensionati, i nordestini e i laureati sono i profili maggiormente presenti in questo gruppo. Ma il grado di apprezzamento è, specularmente ai “catastrofisti”, direttamente proporzionale al crescere dell’età. Così, sono le fasce più adulte a osservare ricadute positive sulla propria vita.
Le novità introdotte dalle nuove tecnologie della comunicazione, dunque, ritrovano nelle generazioni più adulte un più elevato grado di apprezzamento, rispetto ai cosiddetti nativi digitali. La dimensione della scoperta e della novità, il ricordo delle condizioni passate, fanno apprezzare di più le possibilità offerte dalle innovazioni. Ma, forse, rendono più vulnerabili, più circuibili. Le generazioni più giovani, proprio perché cresciute con questi mezzi, paiono esprimere una maggiore criticità e selettività. Le usano molto e con gratificazione, ma ne intuiscono la pervasività. E forse ne sono più impermeabili di quanto non si pensi.
Daniele Marini