Partecipazione in calo tra gli italiani
Osservatori - mercoledì 27 Settembre, 2017
La partecipazione dei cittadini, nelle sue diverse forme, è un elemento generatore della democrazia. Lo descriveva bene Giorgio Gaber quando cantava che “libertà è partecipazione”. E, ancora più indietro nel tempo, diversi studiosi ne hanno sottolineato l’importanza. Alexis de Tocqueville, nel suo La Democrazia in America (era il 1835), osservando il brulicare dell’associazionismo in quella realtà, riteneva che una partecipazione organizzata dei cittadini fosse l’unico antidoto per limitare la tendenza dell’individuo a chiudersi in se stesso, da un lato; e, dall’altro, a contenere l’intervento dello Stato nei diversi ambiti della società. Mediante il compartecipare le persone socializzano, condividono valori e obiettivi, attenuano le spinte individualistiche, limitano l’intervento pubblico: in definitiva, in tutte le molteplici forme in cui essa si può sviluppare, costituisce un ordito necessario alla coesione sociale e alla tenuta della democrazia. È uno strumento di libertà. Che l’Italia sia ricca di queste espressioni partecipative lo raccontano non solo l’esperienza quotidiana, ma anche i numeri.
L’ultimo censimento Istat (2011) stima siano presenti nel paese 301.000 istituzioni no profit, oltre 44.000 le associazioni di volontariato (CSVNET, 2015), più di 6.000 le fondazioni. Complessivamente, poco meno di 7 milioni di italiani s’impegnano gratuitamente per gli altri, circa 4 milioni lo fanno all’interno di organizzazioni, 3 milioni individualmente (Istat, 2013). Insomma, un pullulare di formichine sul territorio che tessono relazioni e solidarietà. In una parola, contribuiscono silenziosamente ad accrescere il capitale sociale. La ricerca di Community Media Research testimonia l’intensità di questa presenza, ma rileva anche segnali di un processo di erosione che vanno attentamente valutati.
Le forme di partecipazione cui le persone aderiscono in misura maggiore sono le attività promosse dalle associazioni di natura culturale (52,4% è intervenuto almeno 1 volta l’anno), seguite dalle iniziative collegate ai problemi dell’ambiente e del territorio in cui si vive (44,8%), dei quartieri o della città (39,3%), dall’associazionismo sportivo e ricreativo (43,3%). Quindi, prevale una partecipazione di tipo “espressivo”, legata alla cultura e alla conoscenza, alla qualità della vita, oltre che alla dimensione del loisir. È sufficiente rinviare alla quantità di frequentanti i molti “festival” (e su argomenti diversi) sviluppatisi in questi anni e diffusi nelle province, fra l’altro con un nutrito numero di volontari – per lo più giovani – che danno un contributo fattivo alla loro realizzazione. Piuttosto che alle code di visitatori a gallerie, siti archeologici, alle iniziative di musei aperti. Hanno invece una relativa minore attrattiva altre forme di adesione come le manifestazioni di partito (34,2%), di protesta (23,0%) o a favore della pace (22,7%). L’adesione all’associazionismo di categoria o professionale si colloca in fondo alla classifica (22,6%), marcando una volta di più il problema della rappresentanza degli interessi.
L’aspetto da rilevare, tuttavia, è rispetto alla precedente rilevazione (2013): per tutte le forme, seppure con diversa intensità, il livello di partecipazione tende a erodersi. Un numero cospicuo di persone continua ad aderire, ma diminuisce. Emblematico, a questo proposito, è l’esito di quanti sono coinvolti attivamente nella realizzazione di sagre e feste paesane, largamente diffusesi in tutta Italia: dal 44,3% (2013) al 23,5% odierno. Sicuramente, il calo è determinato da un insieme di motivi: il pullulare di simili attività fa sì che le persone si disperdano; poi, l’onere organizzativo è assai elevato; un po’ rischiano la perdita di originalità e, quindi, di attrattività. Tuttavia, il saldo è largamente negativo. Ma tutte le forme associative vedono intaccata la platea di persone che attivamente si mobilita a favore dell’una o dell’altra.
Se sommiamo la quantità di iniziative seguite da una persona, osserviamo un fenomeno interessante: la polarizzazione della partecipazione. Ovvero, negli anni avviene una crescente divisione fra quanti non condividono alcuna attività e coloro che frequentano più iniziative nel contempo. Così, chi non interviene è il 23,6% della popolazione, ma era il 9,1% nel 2013. Viceversa, aumenta leggermente chi prende parte a più di 5 iniziative: 49,1% (era il 47,1% nel 2013). Fra questi due poli, registriamo una significativa diminuzione. Così, per un verso, aumenta la quota di chi esce dalle maglie associative e, per l’altro, aumenta di poco il “pendolarismo” associativo, chi partecipa a più iniziative contemporaneamente.
Una riprova a questi fenomeni, viene dall’analisi del profilo della partecipazione. Gli “assenti”, chi nell’arco dell’anno non prende parte ad alcuna attività, crescono dal 9,2% (2013) al 23,6%. Gli “occasionali”, presenti non più di 1 volta l’anno, sono il gruppo più cospicuo (56,5%), ma in calo (68,4%). Così come gli “interessati”, che partecipano almeno 2 o 3 volte l’anno (18,5%, era il 21,6% nel 2013). Sostanzialmente stabili sono i “militanti”, che tutti i mesi sorreggono le associazioni nelle iniziative (1,4%, era lo 0,8% nel 2013).
È forse presto per sostenerlo, ma se il trend sarà confermato in futuro, potremmo essere di fronte a un fenomeno di erosione e disintermediazione sul quale l’associazionismo dovrebbe interrogarsi. Le nuove tecnologie consentono di aiutare gli altri anche dalla poltrona di casa, senza mobilitarsi più di tanto: è sufficiente inviare 1 euro via sms. Si può ritenere di partecipare alla politica davanti al proprio pc, via web o tramite i social. Una partecipazione light e individuale, a scarso tasso di coinvolgimento. Una partecipazione assente. Certo, tutte le forme di condivisione sono benvenute, ma la dimensione della socializzazione e della relazione rimangono elementi costitutivi per la costruzione di un capitale sociale. Per dirla ancora con Gaber, la “libertà non è uno spazio libero”.
Daniele Marini
Nota metodologica
Community Media Research, in collaborazione con Intesa Sanpaolo per La Stampa, realizza l’Indagine LaST (Laboratorio sulla Società e il Territorio) che si è svolta a livello nazionale dal 6 al 12 aprile 2017 su un campione rappresentativo della popolazione residente in Italia, con età superiore ai 18 anni. Gli aspetti metodologici e la rilevazione sono stati curati dalla società Questlab. I rispondenti totali sono stati 1.655 (su 14.103 contatti). L’analisi dei dati è stata riproporzionata sulla base del genere, del territorio, delle classi d’età, della condizione professionale e del titolo di studio. Il margine di errore è pari a +/-2,4%. La rilevazione è avvenuta con una visual survey attraverso i principali social network e con un campione casuale raggiungibile con i sistemi CAWI e CATI. Documento completo su www.agcom.it e www.communitymediaresearch.it